giovedì 10 novembre 2016

Stia e i Conti Guidi “di Palagio”



Stia è situata ai piedi del Monte Falterona, alla confluenza dell'Arno con il torrente Staggia.  La  civiltà etrusca,  che ebbe in Arezzo una delle più potenti lucumonie, si estese fino a questi monti.  Sotto il dominio romano, il Casentino ospitò colonie romane e famiglie patrizie; ciò è attestato da vari toponimi. come Trinità, Prataglia, Selvamonda, Strumi, Pietrafitta e alcuni centri come le antichissime Pievi di Montemignaio, Romena, Stia,  Castel S. Niccolò, Buiano.

 Ci sono vari siti archeologici di epoca etrusca e romana visitabili in Cosentino, come l’Ara del tempio di Pieve a Socana, i  resti della Villa Romana nella cripta di Buiano (Poppi),  e il cosiddetto Lago degli Idoli sul Monte Falterona (Stia).Del periodo Romano nel Casentino abbiamo prove evidenti nelle monete d’oro di Foca, trovate a Faltona e Lierna, a Castel Castagnaio (Stia), e in antichi edifici destinati al culto.

Sicuramente all'epoca romana sono riferibili  i ritrovamenti effettuati fra Stia ed il monte Falterona (nelle località Monte di Gianni, Moiano, Mattonaia, Pian delle Gorghe, Poggio Castagnoli).  Abbiamo notizie dell'insediamento del cristianesimo nel Casentino soltanto dai secoli XI-XII, come dimostrano gli edifici delle Pievi di Stia, Romena, Vado e Montemignaio.

Nel mondo antico Stia fu un villaggio situato lungo la romana Via Maior, che collegava il Casentino a San Godenzo, nel Mugello.  Il toponimo deriva sicuramente  dal Latino stadium, antica unità di misura romana, poi volgarizzato in staggio,  staio, e staja,  per contrazione dal nome del torrente Staggia. La cosa è confermata dall’Archivio Glottologico Italiano:

“Stia e Staggia nel Casentino furono certo Staja. Divinità romane dedicate a un culto delle acque furono trovate in varie località del Casentino, sul Monte Falterona nel Lago degli idoli, e presso il laghetto ormai prosciugato di Ciliegeta, che si trova nei pressi di Stia”. 

Per quanto riguarda il Medioevo, le prime notizie sul villaggio di Stia si trovano nel Regesto Camaldolese relativamente agli anni  1053-1054, dove è citata la Plebe S. Mariae de Staia; successivamente, nel 1093, troviamo citato un Casale de Stia. Nel Medioevo Stia si sviluppò come mercatale (mercato) della Contea di Porciano e residenza del ramo dei Conti Guidi detti anche di Palagio,  per ricordare la costruzione, avvenuta nel 1230, di una residenza signorile sulle rive del torrente Staggia.

Nel 1402  il villaggio passò sotto il dominio di Firenze col nome di Palagio Fiorentino. E. Repetti  narrò la storia di Stia in questo modo:

“Fu il castello vecchio di Stia con il suo territorio annesso tra i feudi dei Conti Guidi del ramo di Porciano, che abitarono nel  palazzo in Stia vecchia detto il Palagio [...] che poi  fu detto Palagio Fiorentino. Una delle memorie superstiti in cui è ricordato il ramo dei Conti  di Stia insieme alla sua pieve furono dovute agli Annalisti Camaldolesi, [...] in un atto di donazione scritto nell' aprile di detto anno nella camera del pievano di Santa Maria situata in Stia nel Casentino [...]. Dal  documento apprendiamo che il donatore fu un Conte Guido fu Alberto; che i conti di Porciano fossero anche di Palagio o di Stia vecchia lo afferma anche lo storico Fiorentino  Scipione Ammirato che rammenta un Conte Porciano al servizio dei Fiorentini e comandante di un corpo di cavalleria il quale dallo stesso scrittore  venne designato col titolo di Palagio”. La storia di Stia in seguito rimase   legata  ai Medici e terminò con il granduca Giangastone. nel 1737, quando gli successe la dinastia dei Lorena, che durò fino all'unità d'Italia.

Sotto l’aspetto storico-artistico, Stia vanta manufatti di origine medievale di tutto rispetto. In piazza Tanucci è situata la Pieve di Santa Maria Assunta, di stile romanico e risalente  al XII secolo,  dove sono conservati alcuni quadri di ragguardevole valore artistico, come il trittico dell’Annunciazione di Bicci di Lorenzo, degli inizi del XV secolo, una Madonna col Bambino della scuola di Cimabue, una terracotta bianca invetriata di Andrea della Robbia, ed un ciborio in terracotta policroma invetriata, del XVI secolo,  opera attribuita alla bottega dei Della Robbia.



Fonti:

Archivio Glottologico Italiano, 1896, p. 397.

Dizionario Geografico, Fisico, Storico della Toscana ..., Firenze, 1843, Vol. V,  p. 468.








lunedì 7 novembre 2016

Policastro Bussentino: tra il “bosso” e la “foce”

 L'antica Buxentum ( oggi chiamata Policastro Bussentino) è situata su una  collina accanto a un antico castello, sulla destra del fiume Bussento, che ha lo stesso nome della città.  Gli autori antichi conoscevano il luogo come Pixunte (in greco) e Buxentum (in latino). Secondo un'etimologia consolidata, il toponimo deriverebbe dalla radice pouxous, con il significato di  bosso, un legno molto duro e resistente, che cresceva nella zona di Policastro. Dalla radice greca, pouxous, e latina, buxus, ne derivarono i parecchi nomi della città, quali Pixus, Pituntia, Pixunte, Pissunte e, infine,  Bussento.

L'etimologia ha una sua consistenza, perché, come ricordava Amedeo La Greca, “nel corso della II guerra Punica,  secondo Silvio Italico, i soldati di Pixoe ancora combattevano armati di bastoni di bosso e di spade ricurve”. Tuttavia, non mancano studiosi i quali ritengono che l'etimologia esatta sia invece foce, poiché la città è posta sulla destra del fiume Bussento, che ha lo stesso nome della città. In questo senso, G. Semeraro sottolineò che l'etimologia che rimanda al concetto di bosso è sostanzialmente errata, perché,  linguisticamente, la radice poux significa foce. ( G. Semeraro).

Il secondo nome, Policastro, è invece di origine medievale, e significa città fortificata [ polis=città, castrum = fortificazione, castello]. Comunque la questione è tuttora incerta, perché la città, nonostante la radice greca del toponimo, sembra che fosse stata di origini pregreche, in quanto appartenuta agli Enotri.  Pertanto pare che  il toponimo risenta di un sostrato mediterraneo: “Policastro era l'antica Pyxus-Buxentum, in tempi remotissimi città enotrico-pelasgica, come dimostrano le possenti vestigia delle sue mura, indi colonia greca e poi romana” (Fernando La Greca).  Buxentum sarebbe stata fondata, secondo Diodoro Siculo,  nel 471 a.C.,  e le testimonianze archeologiche del periodo romano sono ben evidenti, come il ponte romano di Rofrano ( Fernando La Greca).

Il centro storico di Policastro è costituito  da una cinta muraria medievale, risalente alla dominazione normanna, dell’epoca di Ruggero I (XI secolo). Esso  è dominato da un castello fortificato, che a suo tempo fu una fortezza bizantina nell’Alto Medioevo (VI-VII secolo),  poi  ricostruita  dai Sanseverino nel XIII secolo. Secondo una tradizione rivelatasi infondata, Policastro Bussentino sarebbe stata distrutta nel corso delle incursioni saracene sulle coste italiane nel 915; ma in realtà la città è attestata come ben viva e presente dalle fonti dell'XI secolo come dominio normanno, e poi  citata anche  dal geografo arabo Al Idrisi nel XII secolo,  e descritta come un castello grande e molto popolato.

Dal XIII al XV secolo  Policastro Bussentino appartenne a diverse famiglie feudali (Sanseverino, RuffoCarafa). Tuttavia, tra il XIV e il XVI secolo, una serie di distruzioni provocate da eventi bellici, quali l’attacco dei genovesi del 1320, e vari assalti pirateschi ne provocarono l’inevitabile declino  ( C. B.Trillmich). Con tutto ciò, Policastro Bussentino conserva ancora le tracce del suo antico e glorioso passato, come  le  mura di cinta, di origine medievale,  la Chiesa Cattedrale, costruita, secondo la tradizione, su un precedente tempio pagano dedicato a Castore e Polluce, e il museo diocesano, che conserva  opere di notevole pregio storico ed artistico, come  un crocefisso in avorio, di stile fiammingo, risalente alla fine del XVII secolo: tutti elementi che, insieme con il mare, ne fanno una delle più interessanti mete del turismo culturale in Italia.

Fonti:

A.      La Greca, Appunti di Storia del Cilento, 1997, p. 96.

F. La Greca, “L'area del golfo di Policastro in epoca greco-romana”, in Temi per una storia di Torraca, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 2010, pp. 19 sgg.

G. Semeraro, Le origini della cultura europea, Olschki, 1994, parte I,  p. 244.


C. B. Trillmich, “Pyxous-Buxentum”, in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité, 1988,  Vol. 100, n. 2, pp. 701-729.

domenica 6 novembre 2016

Aquileia, “la città sul fiume”



Secondo un’ipotesi condivisa dalla maggioranza degli  studiosi, sembra che il nome della città abbia le sue radici in “Akilis”, un termine preromano di origine celtica, indicante il fiume “[...] che probabilmente diede origine al nome di Aquileia [...]”. La base del nome dovrebbe essere il termine “wara” (“acqua”), che sarebbe, appunto, la radice del toponimo Aquileia, derivante da “Aquilis”, il nome di un corso d'acqua che si riscontra anche in altre regioni, fra cui l'Istria” (Il territorio di Aquileia nell'antichità).

Qualcuno  ha tuttavia suggerito l’idea che  il nome possa derivare dall'aquila “che le legioni romane portavano come insegna” ( G. Geromet). In ogni caso,  la prima ipotesi sembra molto più verosimile, in quanto si basa sulla topografia del luogo, per cui Aquileia significherebbe “ Città del (o sul)  fiume Aquilis”. A questo proposito,  E. Campanile sottolineò  il fatto che l'idronimo “Aquilis” trova un buon confronto con il termine sloveno “vup-”, che significa “fiume”.

 Le motivazioni che spinsero i Romani a fondare una città in quel luogo furono molteplici, ma la più importante era data dalla più facile  difesa della cosiddetta  “Via dell’ambra”,  che collegava il mondo transalpino con il mare e la zona carsica, o “porta orientale”, che poteva essere soggetta a invasioni provenienti da Est.  Nel 181 d.C. fu pertanto dedotta una colonia di diritto latino (ovvero, città con un proprio senato, ma dipendente in politica estera da Roma), in cui fu subito trasferito un cospicuo numero di soldati romani con le loro famiglie.  Aquileia era situata sulle rive del fiume “Natissa”, l'antico  “Akulis”, che le corre sul lato sinistro, fungendo da fortificazione naturale, e che era un tempo navigabile, come dimostra la presenza del porto collegato alla Via dell’ambra. Inoltre la città costituiva il punto centrale di tre importanti vie di comunicazione terrestre: la Via Postumia, che partiva da Genova, la Via Annia, proveniente da Padova, e la Via Popilia, che partiva a Rimini.

In età augustea, Aquileia fu capitale della X Regio, Venetia et Histria. Fu questo il momento più fiorente della città, che fu totalmente rinnovata con la costruzione di imponenti edifici nei luoghi pubblici. La vita di Aquileia si rivelò comunque  molto difficile, proprio per la sua caratteristica di città di frontiera.  Infatti, nel 169 d. C. fu invasa dai primi barbari provenienti dal nord-est, i Quadi ed i Marcomanni.

 Ma Aquileia subì il colpo finale da Attila, il quale, nel 452,  scese in Italia e mise a ferro e fuoco la città.  Da questo momento in poi Aquileia fu devastata da continue invasioni, tra cui l’ultima quella longobarda, dopo la quale il Patriarca e gli abitanti si spostarono a Grado. La città in epoca romana ebbe una fiorentissima vita economica, e non per nulla era definita l’ “emporio d’Italia”: era  dotata di foro, anfiteatro, circo, teatro e svariate terme piccole e grandi. Le Grandi Terme di Aquileia sono tuttora oggetto di scavi, i cui resti sono visibili al Museo della città.

Fonti:

AA.VV., “Centro di antichità alto-adriatiche”, in Il territorio di Aquileia nell'antichità, Arti Grafiche Friulane, 1979,  p. 126.

E. Campanile, Rapporti linguistici e cultuali tra i popoli dell'Italia antica, Giardini, 1991, p. 74.

G. Geromet, “Aquileia, la grande metropoli Romana”, Fondazione della Società per la conservazione della Basilica di Aquileia, 1996,  p.16.